L’Italia di Bryant, tra Fantozzi e Ramazzotti

Spread the love

Metterli insieme così. Come per un azzardo in cui pare difficile ritrovare assonanze e punti di contatto. Kobe Bryant, Paolo Villaggio alias Ugo Fantozzi ed Eros Ramazzotti. Ciascuno tanto diverso – nel destino, nella professione – da sembrare, assemblato, un ossimoro in cui l’elemento precedente esclude di fatto il successivo. Invece. L’elemento di comunanza c’è, eccome. L’Italia che ha sfornato talenti dell’arte e della Storia grande, è patria peculiare nei cui confini, a ben vedere, rientrano le vicissitudini dell’adolescente Kobe, le comico-tragedie del ragioniere cui nessuno vorrebbe somigliare ma che diventa parte dell’esistenza di ciascuno, il cantante che partì per la Terra Promessa del successo “di fare quello che piace” e che pare averla trovata. Tra incastri e circostanze, accade di vederli lì. Vicini. Un giocatore, un impiegato e un cantante. Sembra l’incipit di una barzelletta da raccontare per stimolare ilarità, è in realtà il ricordo più genuino di chi – col tempo – ha fatto strada.

  • Kobe Bryant, da ragazzo,seguiva papà in capo al mondo. E quello spicchio di universo che appartenne alla famiglia Bryant qiuando Kobe era a cavallo tra l’infanzia e l’adolescenza – dai 6 ai 13 anni – si chiamava allora Rieti, Reggio Calabria, Pistoia, Reggio Emilia. Se quel che impari da piccolo poi non lo scordi più, allora pare lienare il fatto che il più grande giocatore di basket in attività abbia portato con sè quella porzione di Italia coincidsa con un frammento di vita vissuta. Torna, la passione del 24 LA Lakers nei confronti della penisola, in tanti piccoli dettagli che poi dettagli – se li metti in fila a uno a uno – non sono più. Palate di ricordi, si diceva, ma anche il significato pregnante di scelte importanti. Come lo è il fatto che due figlie di Kobe, Natalia Diamante e Maria Onore, portino addosso un marchio made in Italy riconoscibile fin dal nome. Scelte importanti, si diceva, ma anche desideri che si insinuano con cadenza regolare:

“Tornare in italia è sempre un sogno, un piacere grandissimo. Vorrei poter giocare a pallacanestro proprio qui”.

  • E va da sè che da quant’è bravo, diventa volontà impossibile da prendere in considerazione. Non ora, almeno, non finché l’apice – che dura da una decina di anni – non sia destinato a diventare declino. Forse allora, chissà, Bryant e l’Italia potranno individuare un punto di contatto che possa consentire di riprendere il discorso da dove lo si era lasciato.
  • Lasciato lì. In quel periodo che va tra i 6 e i 13 anni di Kobe – dal 1984 al 1991 – quando lungo i campetti della penisola Bryant giocava a pallone con i piedi e la palla era da calcio o da basket.

“Non importava”,

  • confessa il cestista nel corso di una intervista rilasciata a Sport Week. Quando la sorte recata in dote dalla natura – pertica già da ragazzino – aveva consentito ai compagni di giochi di ritagliargli un ruolo su misura.

“Facevo il portiere perché avevo le braccia più lunghe degli altri ma la domenica era un casino perché io tenevo al Milan, papà all’Inter, mamma al Napoli e le mie sorelle: una alla Fiorentina e una alla Juventus”.

  • E poi l’Emilia Romagna, rimasta nel cuore al punto che – davvero davvero – l’affare in essere con la Virtus Bologna ha radici profonde e affettive. E poi l’italianità insita in quel modo di essere diventato. Così passionale, agitato, frenetico, volenteroso.

“In America erano più freddi, non capivano la mia voglia di fare sempre qualcosa, il mio essere propositivo”.

  • E poi tanti piccoli cimeli. Messi in bacheca ancora prima di coppe, scudetti e riconoscimenti. Cimeli di casa nostra che Bryant ha portato con sè all over the world.

“Cerco sempre i dvd di Fantozzi, fa troppo ridere. E Eros Ramazzotti: quando ero in Italia le mie sorelle lo mettevano su dalla mattina alla sera”.

  • E poi. segreti da carpire, tardizioni da prendere di peso e portare via ben sapendo che di peso, le tradizioni, proprio prenderle non puoi.

“Il cibo dell’Italia da importare in America e da lì servirebbe che voi portaste qui il basket”.

  • Lo sa, ma finge di non saperlo, che a portare qui il basket Usa ci si sta provando. che prendere di peso Kobe e trasferirlo a Bologna sembrerà davvero come se tutta l’Nba si fosse spostata qui da noi. Invece provaci, tra Boston e Detroit, a trovare un ristorante che sappia metterti a tavola un piatto di lasagne come Dio comanda.

Lascia un commento