Kobe Capitale, Roma incorona Bryant

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Kobe, Kobe”. Oddio, Roma palpita. E’ la proclamazione dell’Imperatore. Maestoso, il gigante. E tra i giganti della Storia grande – i marmi di Roma; le impronte della tradizione; l’imponenza di un passato che, ovunque ti giri, fa pan dan con l’attualità sacra e profana – vedere che apppare. Kobe Bryant nella capitale diventa caput Romae nel tempo di un’acclamazione. In centinaia hanno voluto sgolarsi, saputo mostrarsi: il capo piegato all’indietro. Per andare su. Più su.

Fino a sopra, dove stava inerpicato. Lui. Kobe svetta per natura propria. Scultoreo per volere degli eventi che a uno così le punte dei piedi forse non serviranno mai. Per issarsi ancora di più e scavalcare l’infinito mondo dal quale sovrasta, Kobe non solleva i talloni. E’ altro genere di altura. Via del Corso sembrava un parquet. Piazza Venezia un’anticamera. E loro, a centinaia, parevano la materializzazione di piazza del Popolo. Un popolo festante in raccoglimento. La cometa pare passi una volta. Poi, magari, non la vedi più. Gialla come la canotta dei Lakers. Fatiscente, neanche fosse made in Los Angeles. Compare, lui, imponente e timido. Nemmeno fosse la prima volta che una cosa così.

Così capitale, Roma, non gli dev’essere sembrata mai. “Kobe, Kobe”. Più di Milano, di ieri. Le manone da manovale sventagliano per aria, lambiscono porzioni di cielo, afferrano quel che passa di lì. Le gocce di un bagno di folla sono come secchiate. Se le metti una accanto all’altra. Kobe ha teso la faccia. Una,cinque, dieci volte. Roma dev’essergli parsa maestosa. Centinaia di mani che spingono altre centinaia di mani diventano abbraccio.

La morsa di Roma è una cinta. Quando stringe, culla. Se si insinua, ripara. Le colline di Hollywood e le circostanze artificiose come gli stunt men e l’assenza di tempi morti come donne al silicone e i dettagli scritti a tavolino come le coreografie delle cheerleaders e i virtuosismi scolpiti alla perfezione come i manichini da sistemare in vetrina. Per un attimo. Diventano altro.

I sanpietrini del corso intatti per metà come le favole tronche, l’odore di pizza bianca alla mortadella che arriva prima dele risate grasse, la caciara da non capirci niente che pare frenesia della bella gioventù, la scarsa propensione a rispettare la fila come se a incidere fosse una folata vento, il timbro che prorompe come una cozzaglia di ferri che impattano, e una caldo che scalda. Come certe passioni che se ne sbattono di come può andare a finire. Roma sui libri non la raccontano così. Insegnano agli esseri umani che era a capo del mondo. Non dicono di quanto sappia issare gli esseri umani a capo di Roma. “Kobe, Kobe”. Come gli Imperatori. Senza neppure l’esigenza di vedergli fare canestro.

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