Il basket onora il basket bello di Ragno Bertini e Barabba Bariviera

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Fra gli italiani premiati nella Hall of Fame di questo sabato 9 febbraio a  Milano (diretta Sportitalia2, 16.30,  due giocatori che, seppure agli antipodi, ho molto ammirato,  Franco Bertini e  Renzo Bariviera.

Franco Bertini esponente della”meglio gioventù” primi Anni Sessanta, quella che rappresentò l’Italia alle Olimpiadi di Tokio,  aveva la nomea dell’ intellettuale del basket, divoratore di saggi  importanti, l’aria da filosofo, giocava con gli occhiali da vista trattenuti dall’elastico una magrezza spettrale. Arrivò a Varesecol nomignolo di “Ragno”dopo il primo scudetto dell’allenatore Rico Garbosi, la squadra di Tonino Zorzi,Nesti, Gavagnin,  Maggetti, Gatti, Toth,  Bufalini e un giovanissimo  Toto Bulgheroni quest’ultimo presidente-proprietario e oggi buon golf-amateur e consigliere della Federgolf .

La foto con la maglia n.10 dell’Ignis con  le due mani e le gambe aperte su un rimbalzo fa capire perché si credesse noi giunto davvero dal mondo degli aracnoidi, anche se per la verità era il suo gioco ragionato, di tecnica pura, che poi troverà un erede in Aldo Ossola detto “Von Karajan” che gli conferiva la caratteristica di tessitore intelligente. Notevole anche il suo fair play, interessato al successo ma convinto come quel poeta inglese che soleva esortare gli sportivi nel tenersi dalla larga da due grandi imbroglione, vittoria e sconfitta.

Nei giorni scorsi  ho inviato a Franco, giornalista e blogger nella città natìa, questa email di complimenti per l’occasione “Franco, finalmente si premia un erudito, come ti descrivi come giocatore senza falsa modestia? Hai raggiunto più di  quello che volevi da te stesso o meno? E rispetto a quanto madre natura ti ha dato e le altrui aspettative?. Il tuo rimpianto è non aver dato lo scudetto a Pesaro?”.

Stuzzicato mi ha risposto in questo modo:“Naturalmente a chiamarmi ‘Ragno‘ è stato Agide Fava (il padre del basket pesarese, nda) perché da ragazzino diceva che ‘tessevo le tele’. In effetti quello che mi ha sempre affascinato nel basket è la possibilità di mille geometrie tutte però legate alla tua capacità di concepirle e di avere il bagaglio tecnico per realizzarle. Quando giocavo io pensare allo scudetto a Pesaro era come pensare all’America prima di Colombo. Non si fanno i bilanci di una passione, posso dire che ho praticato lo sport che amavo così tanto da non accorgermi che non avevo il fisico ideale per farlo”.

Bertini che ebbe un filarino anche col Simmenthal  e sfuggì alle grinfie di una bella figlia di un potente armatore . Purtroppo  per lui, nel suo ruolo Milano aveva un certo Sandro Riminucci, come lui della città del grande musicista  Rossini, e quindi ha puntato fugacemente sulla rampante Varese nel 61-62.ò E ci  è rimasto ne 62-63 quando in panchina è arrivato Vittorio Tracuzzi come allenatore.  Nella città Giardino ha  ottenuto un doppio secondo posto dietro il Simmenthal, di cui uno dei due uno dei tanti spareggi fra le due società che hanno fatto crescere il basket quando a fine stagione le due squadre si ritrovavano al Palasport dell’Eur di  Roma per giocarsi lo scudetto.

Alto 1,84,  fondamentali da  Bill Bradley  e un jump perfetto da guardia americana,  i due piedi in dentro che si toccano, per un bilanciamento naturale,  a 20-30 cm da terra. Ha segnato 3889 punti in Serie A,  giocato due partite alle Olimpiadi in Giappone nella squadra del prof.Nello Paratore, segnando 4 punti col Messico e 2 col  Portorico.

Anche Renzo Bariviera di una generazione (e mezza?) successiva a Bertini arriva alla Hall of Fame col suo soprannome : “Barabba”. Il copyright è di Cesare Rubini, l’immortale coach delle scarpette rosse milanesi  litigava spesso coi cognomi, li storpiava, li caratterizzava,  e presolo dal collegio Petrarca di Padova lo chiamò come uno dei due ladroni preferito dai giudei a  Gesù per il suo gioco che comprendeva  canestri di rapina decisivi. Incredibile,  con questo ragazzo bruno, affilato, venuto dal ciclismo, un duro  scafato come Rubini riusciva a perdere la pazienza. Raccontano che una volta ritenendosi offeso  Renzo gli abbia risposto per le rime, con tutto il rispetto possibile… , e il grande Cesare che non aveva figli si sentì tradito.

Comunque l’elastica ala alta di Cimadolmo, il paese dell’asparago in provincia di Treviso, è stato ribattezzato anche “Grillo” per le sue doti salterine che gli consentivano di battere giganti più alti nei grappoli a rimbalzo e correggere in tap in, in kmezzo a un groviglio di corpi,  i tiri che toccavano il ferro e orbitavano sul medesimo. E’ stato un giocatore generoso, forse un po’ sornione per dissimulare  la tensione. Il prototipo dell’ala alta capace di giocare anche in lunetta, fare blocchi, difendere anche sul pivot. Non aveva l’arresto e tiro micidiale di  Pino Brumatti che dovrebbero insegnare a Matteo Imbrò per mandarlo nella NBA  ma usava anche l’uncino o depositava docilmente la palla nel  canestro  in sottomano.

Lanciato da dal Petrarca Padova ha giocato al top con l’Olimpia Milano e Cantù, e anche a Forlì e  col Gira Bologna. Famoso per aver segnato il canestro dello storico successo contro gli americani ai mondiali di Lubiana ’70, finito 66-64. In azzurro 2151 punti e 208 gettoni, un doppio bronzo europeo, ha disputato due mondiali, 4 scudetti (3 Milano, 1 Cantù, le 2 coppe dei Campioni con Cantù, l’Intercontinentale, la Korac e la Coppa Italia.

Un giocatore vincente, utilissimo anche  nella scalata e i migliori successi della nazionale, perché  faceva squadra e gruppo fuori dal campo, sapeva sdrammatizzare e quando vedeva che l’animo  e lo spirito stagnavano era lui a dare la scossa. E’ stato il nostro Volkov, ala atletica  per il gioco vicino a canestro, forte difensore, braccia lunghe, anche lui può rimpiangere la NBA, perché oggi certamente nel draft europeo il suo nome non sarebbe ignorato. Mi piace anche il suo carattere da acquario, lealista e migliorista, poco incline al pissi pissi bao bao e alle gherminelle, si è sempre preso le sue responsabilità, e anche questa è virtù da  medaglia. A proposito di medaglia, non fosse stato una pedina importante nella nazionale di Primo e Gamba sarebbe diventato col suo fisico alto, slanciato, senza un filo di grasso  quello che ritengo uno degli ultimi veri  genuini e sodi  “Razza Piave”  un grandissimo del salto in alto.  A proposito di Razza Piave, annata generosa per quella che fu la grande nutrice dell’italico basket, e non solo per i giocatori,   perché sono premiate anche Wanda Sandon e Gilberto Benetton, gente generosa, semplice, quindi straordinaria.

Oggi Barabba ha 64 anni, portati splendidamente, va fiero della sua carriera ed è proprietario di un centro sportivo con piscina, palestra e campi da tennis a Ponte della Priula nel Trevigiano.

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