Bianchini racconta le guerre con Peterson

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Il basket che non c’è più, quello che ha fatto innamorare la sottoscritta di quel pallone a spicchi che rimbalza sul parquet, quello delle canotte aderenti e dei calzoncini cortissimi, quello fatto di passione, sudore e pochi soldi a disposizione.

Il basket che non c’è più lo racconta Valerio Bianchini sulle pagine del quotidiano online La provincia di Varese, rimpiangendo soprattutto le “guerre” con Dan Peterson, ma più in generale il clima che si respirava in quei tempi:

Tempi meravigliosi, duelli mediatici nei quali due come noi sguazzavano alla grande e davano lavoro ai giornalisti dell’epoca. Oggi Peterson parla poco, meno di quanto la gente si aspetta: questo perché non ha un contraltare. La polemica è bella se la si fa in due, altrimenti uno da solo si smoscia e oggi Peterson è da solo.

Il Vate va indietro con i ricordi e tira fuori un aneddoto risalente a qualche anno fa, quando lui era sulla panchina si Pesaro, mentre Peterson si era fatto da parte e non guidava più Milano (“perché era furbo, aveva capito che il ciclo era finito”). In finale la sua Pesaro si ritrovò di fronte proprio Milano, allenata da Casalini:

Il giorno prima di gara uno, Emanuela Audisio su Repubblica mi mise in bocca una frase che io non avevo mai detto: «Casalini è il robocop di Peterson, perché fa solo quello che lui per telefono gli ordina di fare». Scoppiò un pandemonio, e io non mi ero mai sognato di dire quella cosa. Un allenatore di oggi avrebbe smentito, querelato. Io no: dissi che sì, pensavo esattamente quello che la giornalista mi aveva messo in bocca. E la polemica divampò in campo, sugli spalti, sui giornali. Bellissimo.

Bellissimo e irripetibile, perché oggi il clima è completamente cambiato:

Ci vorrebbe un po’ più di coraggio da parte di tutti. Sento le interviste degli allenatori e sono tutte uguali, fatte con lo stampino: tutti parlano bene di tutti, nessuno ha il coraggio di gettare il sasso e smuovere un po’ le acque dello stagno. Quelli del calcio, da questo punto di vista, sono più bravi: perché oggi, e penso a uno come Mourinho, fanno le cose che noi del basket abbiamo inventato trent’anni fa. Oggi, purtroppo, quei tempi non sono più replicabili e quindi non vale nemmeno la pena di rimpiangerli.

Così parlò il vate, uno che ha dato tanto al basket in campo e fuori e che ora vorrebbe tornare indietro nel tempo per rivivere quei momenti assolutamente unici.

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