Nba All Star Game Houston fiction di successo, il genio di Paul trascina l’Ovest

Spread the love

Forse Jordan  aveva ragione nel ritenere Kobe più forte di LeBron, fatto sta che due spettacolari e sorprendenti  stoppate nel finale di Black Mamba  sul  n.1 della NBA,  la prima addirittura su un jump in area, hanno segnato il risultato del  62° All Star Game di Houston terminato con un trionfo personale di Chris Paul, MVP a furor di popolo con 15 assist, 20 punti, 4 triple su 5, 4 assist. Miglior marcatore Kevin Durant con 30 punti, miglior marcatore dell’Est Carmelo Anthony più 12 rimbalzi. LeBron non più infallibile e irretito da Kobe.

Fra i volti nuovi Paul George e Kyrie Irving due grandi acquisti per la NBA della seconda decade del millennio, in particolare attenti a Indiana col ritorno di Granger, perché Paul può essere il vero anti-Lebron. Il migliore fra i tre afro-europei è stato, manco a pensarci, il francese Tony Parker, vergogna che Mister Europa sia stato premiato Kirilenko nella stagione in cui ha perso la Coppa dei Campioni facendosi rimontare 19 punti .  Partita  purtroppo d’addio senza i giusti toni per due big,  Kevin Garnett (2 minuti e 26 secondi, nessun tiro) considerato anni fa uno dei 100 personaggi più influenti degli Stati Uniti e Tim Duncan.

Ma la vera crudeltà l’ha subita da James White, osannato in Italia, che viene scoperto dalla NBA a 30 anni e invitato quale virtuoso del dunk alla gara ufficiale e sbaglia per ben 5 volte, e addirittura si perde la palla nel palleggio. Un grande omaggio  invece alla storia dei Rockets, ai suoi successi, ai suoi campioni il nigeriano “Akeem The Dream” Olajuwon che ha intrattenuto per 20 minuti gli ospiti del Brunch domenicale, il congolese Dikembe Mutombo e  il cinese Yao Ming. Ennesimo successo personale del  Commissioner David Stern, potente avvocato della lobby ebraica newyorkese che sarà ricordato come il Carlo V del basket, che lascerà il prossimo anno  la sua poltrona a Silver Adams, cognome illustre nella storia degli Stati Uniti  che ha avuto ben due presidenti di questa famiglia. New Orleans sarà la sede dell’All Star Game  2014, mentre per il 2015  la prescelta è New York e se la contendono i Knicks e i Nets.

La partitissima è stata trasmessa in 232 paesi, negli Stati Uniti da TNT col commento di Reggie Miller e Steve Kerr  e un salotto spassosissimo con Shaquille e Barkley in veste di mattatori, il conduttore col farfallino, gli ospiti con giacca e cravatta, il panciotto e la pochette, non come da noi scamiciati o con la sciarpa. Rispetto dei ruoli. Michael Jordan è stato festeggiato per i suoi 50 anni, niente notizie però sul suo ritorno, se ne parlerà stanotte nel Monday Night, tradizionale appuntamento del lunedì  stavolta senza partite (si riprende martedì con Denver-Boston) tutto dedicato all’All Star Game in chiave retrospettiva, con i filmati dei vari concorsi ed eventi,  la grandissima partita di Kenneth Faried con 40 punti MVP  nel Rising Challenge il successo della matricola  Terence Ross, il primo Raptors Volante, quello di Irving nel tiro da 3 dove Gallinari avrebbe dovuto esserci.

Gli è stato nocivo il pollice verso di Sport Illustrated, ed è strano come la Rcs, che cura l’ immagine del Gallo, non abbia fatto una telefonata ai cugini del Magazine sportivo n.1 al mondo, chiedendo che riparasse. Lo show Tv di stanotte prevede  tre momenti molto attesi, l’ l contro 1  di Michael Jordan e Amhad Rashad, l’intervista a Bill Russell, il centro dell’Olimpiade di Roma e dei Boston Celtics e il grande rivale di Wilt Chamberlain (Wilt The Stilt) passato alla storia per aver segnato più di 100 punti in una partita. La terza story riguarda  anche Charles Barkley l’eterno arrabbiato.

Il titolo di MVP Chris Paul della festa di Houston che ha regalato anche un concerto di Alicia Keys, l’erede di Donna Summers, un bel bocconcino, è il riconoscimento della sua  gara ispiratissima. Nemmeno Magic aveva offerto 15 assist, nuovo record del confronto , ma anche un omaggio alla persona che smessa la divisa sportiva  si perde fra la folla, ma quando è sul campo diventa il genio della lampada. Little Paul che ha un gemello che si riconosce solo per il baffo più folto e non come il suo, alla Clark Gable, allontana la sensazione che il basket sia esclusivo regno dei giganti. Si può essere anche giganti alla sua maniera, con la sua statura da persona normale,il volto di eterno ragazzino dalla voce nasale da adolescente, la sublimazione del  play-artista  capace di infilarsi nelle difese per prendersi il tiro libero, pretendere l’ultimo tiro senza essere egoista, predicare tutti i giorni ai compagni che le  partite si vincono in difesa.

E’la prima volta che un giocatore dei Clippers viene premiato quale MVP, forse faceva parte della finzione per celebrare l’operazione di costruire una forte seconda squadra a Los Angeles capace di diventare la prima spodestando i Lakers, e di inserirsi nella lotta per il titolo. La  grande recita è stata impeccabile, e  Gregg Popovich, il coach degli Spurs primi in classifica, non privo di furbizia levantina per il sangue slavo, è stato il regista giusto per la fiction di successo e forse sarà lui a dirigere il prossimo Dream Team ai mondiali 2014 di Madrid.

Infatti ha tenuto molto in panchina Bryant perché rifulgesse  di più il n.3 dei Clippers . Ormai perfetto padre di famiglia che, schivato il divorzio con Vanessa  grazie al cattolicissimo padre molto amato in Italia, nell’intervallo si spupazzava una delle due figliotette , Kobe è stato rimandato in campo dal suo coach  per cancellare LeBron arrivato a Houston col 63 per tiro di tiro e completamente neutralizzato. Una buona mossa marcarlo con un piccolo, Popovich ha dato un segnale non comeil collega  Spoeltra che poverino è invisibile anche quando  gli dedicano un primo piano.

E’ stato David Stern, due anni da, a volere che Paul lasciati gli Hornets ,dove giocava al suo fianco il nostro Marco Belinelli, non andasse ai Lakers e fosse invece la pietra miliare dell’operazione pro- Clippers. Paul si è meritato però tutto il giusto omaggio per ricordare  una partita che non poteva passare inosservata. Quella di Londra, perché tutti ai Giochi hanno celebrato LeBron, Kobe, Anthony  e gli altri bis ma guai se non ci fosse stato Little Big Paul  lui, quando la Spagna, si è fatta pericolosa, a prendere in mano la squadra, segnando  quelle triple improvvise che hanno tagliato le gambe ai rivali, come domenica notte nel finale di gara al Toyota Center.

La NBA può dire di avere riscosso un successo pari a quello di una convention di una grande azienda. Sono sparite firme storiche e banche  dell’economia americana, questa ditta del canestro  continua invece a mietere successi a livello planetario inglobando anche le donne, costruito un campionato satellite e un marketing sportivo di trend. Non predica cinismo industriale, onora la sua storia, i suoi campioni, chi esce dal campo non è un ex o una vecchia gloria ma una leggenda, è amata da grandi e piccini, dallo star system e dai presidenti degli Stati Uniti. Si tratta di quel modello di “responsabilità sociale “ a 360 gradi che si chiede agli sport-makers, e mi sembrava di sentire le stesse parole di Gilberto Benetton nella svolta del Progetto “Primo Sport” affidata a Giorgio Buzzavo che non a caso ha avuto un riconoscimento ufficiale dagli Stati Uniti.

Nella NBA ciascun giocatore importante ha una propria fondazione. I suoi campioni fanno costruire ospedali come Mutombo o spogliatoi e campi all’aperto, diventano grandi sindaci, come Kevin Johnson a Sacramento, o fanno coraggiose  battaglie politiche (come quella di Bill Bradley a favore dei nativi), aiutano i ragazzi delle periferie a uscire dalla violenza, come  Yoaquin Noah, sono il motore della solidarietà ed è per questo che si sono raccolti 550 mila dollari in una gara di contorno e anche in un match  che pur …“a copione” ho offerto dei valori che altri calpestano. E non voglio infierire su questi “altri”, perché ognuno si merita per quel che ha fatto e dato.

[email protected]
Riproduzione Riservata

West-East 143-138 (31-26, 38-39, 39-39, 35-34.West: 16 Anthony (tl 7/9, 12 r), 22 Wade (10/13, 7 a), 19 L.James (7/18), 6 Bosh, 0 Garnett (2’26”, nessun tiro, 3 r); 17 P.George, 15 K.Irving, 10 Deng, 8 Noah (10 r), 7 T.Chandler, 6 Holiday, 3 B.Lopez.Est: 30 Durant (13/24), 20 C.Paul (7/10, T3 4/5, 15 a, 4 rec, 27’, MVP), 19 Griffin, 9 Howard, 9 K.Bryant (8a); 15 Harden, 14 Westbrooks, 13 T.Parker, 6 Z.Randolph, 6 D.Lee, 2 Duncan, 0 Aldridge (0/2).

Lascia un commento